venerdì 28 ottobre 2011

Missionari di pace, testimoni di Dio

E' bello essere qui stasera per salutare amici pronti a partire, 
ritrovandone tanti altri che sono pronti a sostenerne i cammini.
Una settimana fa sono rientrato dal Rwanda, e nel portarvi una semplice testimonianza vorrei raccontarvi una piccola storia:
E' la storia di una ragazza. Una ragazza nata in Rwanda, da una famiglia numerosa 
di 8 fratelli, come tante c'è ne sono nel paese. La sua infanzia trascorre serena,
fra scuola e la bellezza di apprendere i mestieri della donna, come da tradizione: l'amore nel coltivare la terra, l'arte nell'arrangiarsi a cucinare, e l'abilità nel riassettare casa.
Ma a soli 12 anni, la madre muore dopo una lunga e dolorosa malattia:capisce così, che dovrà crescere in fretta per prendersi cura dei fratelli e delle sorelle. Nonostante questo lutto, è una ragazza che trova nella fede e nella preghiera una grande forza, e nel servizio in parrocchia il modo per servire la sua chiesa. Non solo, frequenta un ragazzo 
con la serietà e consapevolezza di chi è in cammino per discernere la propria vocazione, sia essa matrimoniale, sia essa una strada diversa.
Non c'è nessuno a cui non sia legata, ognuno nel villaggio può contare sul suo aiuto; 
tutti ne hanno una grandissima stima.
La guerra e il genocidio però arriveranno a destabilizzare la vita nel piccolo paese africano:famiglie intere spazzate via, campi distrutti, case rase al suo, niente e nessun viene risparmiato..
cosi sarà anche per lei che perderà un fratello, nipoti amici, ma non solo; 
Non c'è il tempo per capire la grandezza del dramma e allora via..
La fuga nel vicino Burundi, la diaspora di fratelli e sorelle.
Il ritorno a casa ritrovando il padre in carcere ingiustamente per otto, lunghissimi anni.
Ogni giorno percorre la lunga strada sterrata che porta alla prigione per portargli
il necessario:cibo,acqua e vestiti.
La fatica di ricominciare, nell'incertezza del futuro, affidandosi solo a Lui..il Signore, che piano piano comincia a chiamarla a sé, alla sua sequela.
Lei subito non capisce, non vuole ascoltare,perchè spaventata, poi riconosce il quel “seguimi” il Suo volere, nel servizio ai poveri, ai piccoli, agli ultimi.
Oggi quella ragazza,di nome Egidia,che scelse di seguire Gesù lasciando tutto, 
è una delle responsabili delle case Amahoro, quella di Bare.

So che vi state chiedendo il motivo per il quale vi ho raccontato qs storia.
Semplicemente credo che rappresenti bene quel segno che Don Gigi Guglielmi fondatore del progetto, voleva fossero le case.
E soprattutto perchè impersona la verità di una “testimone di Dio,e missionaria di pace”.

Durante quest'anno,la fatica di apprendere due lingue, mi ha aiutato però a costruire relazioni nuove, relazioni vere,
con chi ci viveva accanto, laddove i legami d'amicizia e solidarietà fra persone, erano state uccisi e sepolti insieme ai corpi di quasi un milione di vittime.
Un piccolo aspetto dei tanti doni ricevuti in quella terra,che questa sera condivido con voi,
nella bellezza che porta l'incarnarsi sentendosi parte di una famiglia,
come lo sono state per noi le case Amahoro.




giovedì 13 ottobre 2011

Ho perso il conto delle volte che l'ho fatta:
al mattino presto avvolto  nella nebbia di nuvole  basse,
di giorno con la vita che ne riempie i bordi, 
con quegli uomini lenti che spingono biciclette colme di tutto
e la sera tardi nelle luci fioche di candele artigianali,
ma ogni volta è lo stesso stupore.
Come se la mente resettasse,
per lasciarsi meravigliare ancora.
Si perchè la strada che ti porta da Kibungo a Bare
è un pò simbolo del Rwanda.
Sterrata e segnata dalle pioggie gonfie,
corre in mezzo a colline vestite di bananeti e fagioli:
Don Gigi voleva che le case fossero segno nascosto.
Come quella casa, isolata,
"abbracciata alla parrocchia"
quasi al di là del confine,
che devi andare a stanare, tanto è lontana.
Quella strada dove ci sono ancora casette di terra,
storte e stanche, che il governo non vuole più vedere.
Li può guardare in faccia il paese;
Quei metri,in Toyota
spostandomi fra le tre case,
mi hanno messo tra le mani questa terra.
E nel ringraziare nella preghiera
il Rwanda dei suoi tanti doni,
chiedo scusa per le volte che passando
"ho alzato la polvere" nel cuore di questi nostri fratelli.


Matayo